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Cos’è la messa a fuoco e come usarla al meglio

La messa a fuoco è una delle operazioni più importanti da effettuare in fase di scatto, affinché il soggetto della fotografia appaia perfettamente nitido. Qualsiasi moderna macchina fotografica permette di mettere a fuoco automaticamente, ma in alcuni casi può essere utile o necessario intervenire manualmente per ottenere il risultato desiderato. In questo articolo, vedremo cos’è la messa a fuoco, come funziona, quali sono i fattori che la influenzano e come gestirla al meglio.

Cos’è la messa a fuoco

Tecnicamente, la messa a fuoco in fotografia consiste nella regolazione della distanza tra le lenti dell’obiettivo e il sensore della fotocamera, in modo che il soggetto prescelto di fronte a noi risulti ben nitido sul sensore (qualora ci sia qualcuno che utilizza ancora macchine fotografiche analogiche è sufficiente sostituire alla parola sensore, la parola pellicola). Questa distanza si chiama distanza di messa a fuoco e può variare a seconda della lunghezza focale dell’obiettivo, della distanza del soggetto e dell’apertura del diaframma.

Quando mettiamo a fuoco su un soggetto, non stiamo facendo altro che regolare una distanza: quella che separa tale soggetto, appunto, dal sensore della fotocamera. Tutto ciò che si trova a questa distanza di messa a fuoco (e non soltanto il soggetto di nostro interesse) apparirà nella foto perfettamente definito. L’insieme dei punti che si trovano a questa distanza dalla macchina fotografica è detto piano di messa a fuoco.

La profondità di campo

In realtà, sebbene il piano di messa a fuoco sia sempre e solo uno, anche gli oggetti situati ad una distanza simile, di poco maggiore o minore, saranno sufficientemente nitidi. Man mano che ci si allontana dal piano di fuoco critico, gli elementi appariranno invece progressivamente più sfocati. L’area attorno al piano di messa a fuoco, all’interno della quale si può apprezzare una nitidezza accettabile, è detta profondità di campo ed a seconda delle circostanze può essere più o meno estesa. La profondità di campo è un parametro fondamentale per la composizione fotografica, in quanto ci permette di controllare quali elementi includere o escludere dalla nostra immagine, evidenziando il soggetto principale o creando un effetto di continuità tra primo piano e sfondo. La profondità di campo dipende da tre fattori principali: la lunghezza focale, l’apertura del diaframma e la distanza di messa a fuoco.

La lunghezza focale: è la distanza tra il punto nodale posteriore dell’obiettivo e il piano focale (il sensore). Più la lunghezza focale è lunga, più la profondità di campo è ridotta, e viceversa. Per questo motivo, i teleobiettivi sono adatti per isolare il soggetto dallo sfondo, mentre gli obiettivi grandangolari sono utili per avere una maggiore profondità di campo.

L’apertura del diaframma: è il foro che regola la quantità di luce che entra nell’obiettivo. Più il diaframma è aperto, più la profondità di campo è ridotta, e viceversa. Per questo motivo, gli obiettivi con un’apertura massima elevata (ad esempio f/1.4 o f/1.8) sono adatti per creare uno sfondo sfocato, mentre gli obiettivi con un’apertura minima ridotta (ad esempio f/16 o f/22) sono utili per avere una maggiore profondità di campo.

La distanza di messa a fuoco: è la distanza tra il soggetto e il sensore. Più il soggetto è vicino, più la profondità di campo è ridotta, e viceversa. Per questo motivo, la macrofotografia richiede una messa a fuoco molto precisa, in quanto la profondità di campo è molto limitata, mentre la fotografia paesaggistica tollera una messa a fuoco più ampia, in quanto la profondità di campo è molto estesa.

Per approfondimenti sulla profondità di campo leggete l’articolo: La profondità di campo te la spiegano i Troopers

La messa a fuoco manuale

La messa a fuoco manuale consiste nel regolare manualmente la distanza di messa a fuoco, ruotando l’anello di messa a fuoco presente sull’obiettivo. Questa modalità richiede una maggiore abilità e precisione da parte del fotografo, ma offre anche una maggiore libertà e controllo. La messa a fuoco manuale può essere utile o necessaria in alcune situazioni, ad esempio:

  • Quando il soggetto è poco contrastato o poco illuminato, e l’autofocus non riesce a rilevarlo correttamente.
  • Quando il soggetto è nascosto da altri elementi, come rami, fili o vetri, e l’autofocus si confonde o si distrae.
  • Quando il soggetto è in movimento rapido o imprevedibile, e l’autofocus non riesce a seguirlo adeguatamente.
  • Quando si vuole avere un controllo creativo sulla messa a fuoco, ad esempio per creare effetti di sfocatura voluta o di messa a fuoco selettiva.

Per facilitare la messa a fuoco manuale, alcune fotocamere offrono delle funzioni di assistenza, come il focus peaking o l’ingrandimento dell’immagine sul display o sul mirino. Il focus peaking evidenzia i contorni dei soggetti a fuoco con un colore diverso, mentre l’ingrandimento permette di visualizzare una porzione dell’immagine ingrandita per verificare la nitidezza.

L’autofocus: messa a fuoco automatica

L’autofocus è la modalità di messa a fuoco automatica, che sfrutta un sistema elettronico per rilevare la distanza del soggetto e regolare di conseguenza la distanza di messa a fuoco. Questa modalità è molto comoda e veloce, ma richiede anche una certa conoscenza delle sue caratteristiche e delle sue opzioni. L’autofocus si basa sul funzionamento del processore della fotocamera e del motore AF dell’obiettivo.

Il processore della fotocamera si occupa di stabilire quale sia effettivamente la corretta distanza di messa a fuoco, analizzando le informazioni provenienti dal sensore o da un apposito sensore dedicato. Esistono due tipi di sistemi di messa a fuoco automatica: il sistema a rilevamento di fase e il sistema a rilevamento di contrasto.

Il sistema a rilevamento di fase è il più veloce e preciso, in quanto sfrutta una serie di sensori che dividono l’immagine in due parti e le confrontano tra loro, calcolando la differenza di fase tra le due immagini. Questa differenza indica la distanza di messa a fuoco da applicare per ottenere la nitidezza. Questo sistema è tipico delle fotocamere reflex, che dispongono di un modulo AF separato dal sensore principale, ma è presente anche in alcune fotocamere mirrorless, che integrano dei pixel dedicati all’autofocus sul sensore stesso.

Il sistema a rilevamento di contrasto è il più semplice e diffuso, in quanto sfrutta il sensore principale della fotocamera per analizzare il contrasto dell’immagine e cercare il punto di massima nitidezza. Questo sistema è tipico delle fotocamere compatte e mirrorless, ma è presente anche nelle fotocamere reflex quando si usa la modalità live view. Il sistema a rilevamento di contrasto è più lento e meno affidabile del sistema a rilevamento di fase, in quanto richiede più tempo per trovare il punto di messa a fuoco e può essere confuso da soggetti poco contrastati o in movimento.

Il motore AF dell’obiettivo è il meccanismo che si occupa di spostare gli elementi ottici dell’obiettivo per regolare la distanza di messa a fuoco, seguendo le indicazioni del processore della fotocamera.